Nasce a Bagnolo San Vito (Mantova) il 3 novembre 1894. Orfano di padre, con la famiglia vive in condizioni di miseria ed è costretto a interrompere gli studi elementari, trovando occupazione prima come tipografo poi come tornitore. Perso il lavoro, si arruola volontario nella marina militare, partecipando alla guerra di Libia e poi a quella mondiale.
Nel dopoguerra apre una piccola officina meccanica, ma poi decide di emigrare clandestinamente in Francia, dove trova lavoro in alcune aziende meccaniche di Parigi ed entra in contatto con il movimento anarchico. Nel 1921 si stabilisce a Genova, impegnandosi nel movimento sindacale libertario. Licenziato dall’Azienda autobus municipali, decide di aprire una piccola ‘trattoria operaia’, che diventa uno dei principali punti di ritrovo del movimento anarchico genovese.
Costantemente perseguitato dai fascisti genovesi, subisce perquisizioni, aggressioni fisiche ed è costretto a bere olio di ricino. Nel 1925 è considerato uno dei capi dell’Unione anarchica di Genova, nel 1926 è condannato a due anni di confino e denunciato al Tribunale speciale. Tornato a Genova, è costantemente vigilato e non riesce a svolgere alcuna attività politica, dovendo cambiare spesso lavoro. Per questi motivi si trasferisce a Milano, presso la madre e le sorelle. Nel 1939 è assunto come tornitore alla Breda di Sesto San Giovanni ma presto si ammala di tubercolosi ed è ricoverato in alcuni sanatori. Nonostante le sue condizioni di salute, con lo scoppio della guerra è inviato nel campo di concentramento di Manfredonia, in provincia di Foggia, ma dopo qualche settimana, a fronte del costante deperimento, è rimandato in sanatorio.
Nell’agosto 1944 raggiunge a Modena la sua famiglia, qui sfollata per timore dei bombardamenti su Milano. Partecipa con il figlio ventiduenne alla battaglia finale per la liberazione della città (22 aprile 1945), ed è tra i promotori della nascita della Camera confederale del lavoro, entrando nella segreteria camerale in rappresentanza degli anarchici. È anche nominato ispettore confederale, e in tale veste segue alcune vertenze sindacali, muovendosi in tutta la provincia tenendo riunioni su riunioni. È anche tra i fautori della costituzione della Federazione comunista libertaria modenese, che ha sede nello stesso palazzo della Camera del lavoro, in via San Vincenzo 24. È, infatti, nominato segretario della Federazione, ed è lui ad elaborare il Manifesto-programma che viene diffuso nella provincia nell’agosto del 1945.
Il clima della provincia geminiana e il grande attivismo politico e sindacale incidono però sulle sue condizioni fisiche, e si trasferisce di nuovo a Genova, dove muore il 9 febbraio 1946.
Voci correlate
Collegamenti
DOCUMENTI
FONTI
Archivio centrale dello stato, Casellario politico centrale, b. 496, ‘Benetti Aladino’
Istituto storico di Modena, Fondo ‘Movimento anarchico e sindacalismo rivoluzionario’, b. 56, fasc. 1, “Carte personali di Aladino Benetti”
BIBLIOGRAFIA
L. Bertucelli, C. Finetti, M. Minardi, A. Osti Guerrazzi, Un secolo di sindacato. La Camera del lavoro a Modena nel Novecento, introduzione e cura di Luigi Ganapini, Roma, Ediesse, 2001
C. Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena 1940-1940, Milano, Angeli, 1998