Nasce a Mirandola (Modena) il 18 marzo 1875 da Giovanni e Zeffira Mazzola, fabbro, anarchico. Sposato con Aldegonda Molinari, è padre di quattro figli. Si mette in evidenza già negli ultimi anni dell’Ottocento (condannato nel 1894 per “grida sediziose”, poi seguiranno altre denunce nel corso degli anni), ma è all’inizio del Novecento che sviluppa una maggiore attività, risultando tra i promotori delle lotte sindacali nella Bassa Modenese. Esponente della Camera del lavoro di Mirandola, dove ricopre a più riprese incarichi di direzione, e segretario del Sindacato provinciale macchinisti, partecipa ai vari congressi sindacali tenuti nella provincia di Modena.
È lui a presentare, in occasione del congresso per l’unità sindacale promosso dalle Camere del lavoro di Modena, Carpi e Mirandola il 19 gennaio 1913, la mozione degli anarchici modenesi, che propongono di lasciare libera ogni lega sindacale di aderire o alla Confederazione generale del lavoro o all’Unione sindacale, realizzando però un’unica Camera del lavoro provinciale. Ma la proposta non è accolta, e si determina la spaccatura del movimento in due organizzazioni camerali provinciali, una a orientamento socialista, l’altra sindacalista rivoluzionaria. Sempre nel 1913 subisce una nuova condanna dalla Pretura di Finale Emilia a quaranta giorni di reclusione (ridotti a dieci in appello) per istigazione a delinquere e incitamento all’odio durante un comizio tenuto a Ponte S. Pellegrino, nei pressi di San Felice sul Panaro.
Negli anni del primo dopoguerra è segretario della succursale di Mirandola della Camera del lavoro sindacalista di Modena e con Giovanni Bassoli – poi ucciso dai fascisti in un’aggressione – uno degli esponenti più in vista del movimento anarchico locale. Coinvolto nel furto delle mitragliatrici organizzato dagli anarchici e giovani socialisti modenesi nel maggio 1920 per difendere le manifestazioni operaie, dopo quasi un anno di carcere viene assolto per non aver commesso il fatto.
Nel giugno 1921 è di nuovo sotto processo assieme all’anarchico Carlo Nencini ed altri sei lavoratori per le denunce di estorsione dell’anno prima. Il Tribunale di Modena lo condanna, in contumacia, ad un anno e tre mesi di carcere più una multa di 600 lire per violenza privata in seguito a boicottaggi. Dopo due mesi è arrestato nel Veronese, il reato però viene amnistiato nel gennaio 1922.
Intorno alla metà degli anni Venti è uno dei pochi anarchici ancora attivi nella Bassa modenese. Partecipa con Vincenzo Chiossi al convegno clandestino dell’Unione sindacale italiana che si svolge a Genova il 28-29 giugno 1925 e che si propone di riorganizzare il movimento sindacale d’orientamento rivoluzionario. Nel 1934 è radiato dallo schedario dei sovversivi, perché secondo la polizia non risulta più impegnato in attività politiche.
Alla caduta del fascismo, nel luglio 1943, gli antifascisti di Mirandola lo pongono alla guida delle organizzazioni sindacali libere. Dopo la Liberazione è nominato segretario della Camera del lavoro di Mirandola. In questo periodo pare si avvicini al Partito comunista. Muore a Mirandola il 18 settembre 1952.
Immagini
Voci correlate
Collegamenti
DOCUMENTI
FONTI
Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, busta 2885, “Luppi Giuseppe”
BIBLIOGRAFIA
Amedeo Osti Guerrazzi, Lotte rivendicative e tensioni rivoluzionarie (1900-1914), in Lorenzo Bertucelli et al., Un secolo di sindacato. La Camera del lavoro a Modena nel Novecento, Roma, Ediesse, 2001
Istituto Storico di Modena, Dizionario storico dell’antifascismo modenese, vol. 2, Biografie, Milano, Unicopli, 2012
Claudio Silingardi, Brevi note su: movimento operaio e organizzazione sindacale a Mirandola dalle origini al fascismo (1870-1920), Mirandola, CGIL, 1985