Della mia infanzia ricordo episodi della guerra, i bombardamenti, i mitragliamenti, io ero un bambino e ricordo che avevamo i tedeschi in casa perché c’era l’occupazione e loro erano i padroni di casa.
Dopo ho frequentato l’asilo e mi ricordo che a volte uscivo a piedi, perché allora non c’era lo scuola- bus, ma si andava solo a piedi con il cestino della merenda e mio nonno, che faceva il mediatore anche lui, quando in piazza c’era l’ambulante che faceva il gnocco di castagne me ne comprava un pezzo. Per me era una grande festa perché allora era un lusso, anche se ora è una cosa banalissima e se lo offro a mio nipote mi dice: “Che schifo”.
In quel periodo non c’era abbondanza, per niente, perché si mangiavano maccheroncini con i fagioli e per cambiare fagioli con i maccheroncini. Poi mi ricordo che c’erano le mele campanine che si mettevano sul tetto del pollaio a prendere il sole per poterle mangiare per tutto l’anno: si mangiavano sempre le più marce, perché bisognava portarle avanti il più possibile. L’ abbondanza era quella. Si faceva il pane in casa e a volte si scambiava la farina con il pane già fatto. C’era il cinema, ma ci volevano due soldi e io andavo solo qualche volta: alla domenica mio padre mi accompagnava e mentre lui andava al bar lì vicino, io andavo a veder i film di Tarzan.
I miei genitori erano quelli che si dicevano dei “camaranti”, oltre a loro nella mia famiglia c’eravamo: io, mio fratello più grande di dieci anni, che poi andò militare durante la guerra e mia sorella più piccola. Mia madre faceva la sarta e mio padre andava in giro in piazza perché era una specie di mediatore, ma non si sapeva bene cosa fosse, trafficava, non aveva un lavoro fisso.
Oggi ci siamo ancora noi tre fratelli, mio fratello più vecchio che ha ottantasei anni, io ne ho settantasei, mia sorella ne ha settantatré, ma sono dieci anni che è inferma a letto. Sono sposato, avevo due figli, ma uno è morto in un incidente stradale nel millenovecentoottantuno, l’altro vive ancora in casa con me, è sposato e ha una figlia di diciannove anni.
Mi ricordo che quando frequentavo le elementari io ero un balilla e facevamo le adunate davanti alla casa del fascio, in classe avevamo l’altoparlante perché quando parlava Mussolini bisognava mettersi tutti sull’attenti, roba che se adesso la racconti ai giovani gli scappa da ridere. Dicono che noi eravamo degli imbranati che non sapevamo… Io ho frequentato fino alla quinta elementare, dopo c’era la scuola di agraria, ma io ero negato per lo studio, quindi sono andato a fare il meccanico da biciclette.
Un giorno ho chiesto a M. se mi prendeva a lavorare alla Bellentani, subito mi ha fatto dei “mi, mo”, ma poi un giorno lo incontrai sul ponte, mi fermò e mi chiese cosa stavo facendo, se lavoravo, gli risposi che stavo preparando le carte per ritornare in Francia, ma lui mi disse di aspettare un attimo che il lunedì avrebbe parlato con C., che era il capo della Bellentani…