Sono nato a Finale Emilia il 7 dicembre 1922. Mia madre a causa della spagnola, era rimasta orfana con una sorella. Mio padre era presidente della provincia di Ferrara.
Oltre a me ebbero due femmine, una più grande di me di tre anni ed una minore di uno. Quando si sposarono mio padre prese un piccolo fondo in affitto, ma ebbe la sfortuna che il maiale e i bovini che allevava morirono, così la sua iniziativa fallì e rimasero in miseria. La nostra casa era composta da una camera e una cucina e basta.
Mio padre partì per la guerra di Libia e tornò dopo sette anni ammalato e nel 1929, a soli trentasei anni morì. Mia madre rimase da sola con noi tre figli ed una zia malata di rachitismo che faceva la domestica. La vita era molto dura. Io avevo solo sette anni e ho rischiato di patire la fame. Avevo uno zio che abitava a Montemerlo nel ferrarese e faceva il bovaro, aveva le bestie, le galline. Quando tornavo da scuola andavo da lui, aravo la terra e in cambio avevo di chè mangiare. La zia che faceva la domestica contribuiva al nostro sostentamento portandoci a casa i resti dei pasti dei signori dove era a servizio.
Il nostro divertimento di bambini era di correre nei fossi di sera e di raccontarci le storie. L’unica festa era il giorno dei morti, quando andavamo con la mamma a far visita al cimitero e lei ci comprava un chilo di castagne: era una gran festa avere le castagne, perché se volevamo la frutta dovevamo andarla a rubare sugli alberi, rubavamo per la necessità di mangiare, non perché volessimo rubare. Era una brutta vita.
Non ho un bel ricordo della scuola. Ho frequentato fino alla quinta elementare. I primi tre anni, quando abitavo in campagna, avevo una maestra che ricordo come buona, abitava nella scuola e sua figlia ci portava i colori perché noi non li avevamo. Io avevo una cartella fatta di sacco. Ricordo il tanto tempo passato a fare le aste dritte, non imparavo niente!
Quando siamo venuti ad abitare a Massa, frequentavo la quarta elementare e il mio maestro si chiamava Leonardi, era un grande antifascista. Nella classe il maestro indicava i capofila che tutte le mattine avevano il compito di passare tra i banchi a controllare che sui quaderni non ci fossero macchie, nel qual caso erano botte. Però ci insegnava.
In quinta elementare il maestro era Gallini. Vicino alla cattedra aveva tre bastoni: bianco, rosso e verde che rappresentavano il fascismo. Ci diceva: “Dovete prendere esempio da me, io ero un socialista e quando è venuto il fascismo sono diventato fascista, così ho risolto il problema”. Questa brutta frase mi è rimasta sempre nella mente…