Nei primi mesi del 1945 – dopo che nel giugno del 1944 era stato siglato il ‘Patto di Roma’ con la nascita della Confederazione generale italiana del lavoro – si sviluppa anche tra i partiti antifascisti modenesi la discussione sull’assetto da dare al sindacato nel dopoguerra.
Il primo passo ufficiale è compiuto dai partiti socialista e comunista, che presentano una mozione unitaria ai rappresentanti degli altri partiti per dare vita all’organismo camerale. In questo documento sottolineano anche la necessità di coinvolgere gli esponenti sindacalisti anarchici, per evitare che rinasca la Camera del lavoro sindacalista, riproponendo così le fratture del periodo prefascista.
Il 16 aprile 1945 in un appartamento nella zona di Porta Bologna a Modena, le forze politiche rappresentate nel Comitato di liberazione nazionale approvano la nascita della Camera confederale del lavoro, nominando una segreteria composta da tre membri in rappresentanza dei tre partiti, socialista, comunista e democratico cristiano e una commissione esecutiva (che rimane in carica fino al momento del primo congresso che si svolge nell’ottobre 1945) formata da Massimiliano Vincenzi, Elio Carrarini e Luigi Guerrieri per i comunisti; Giuseppe Levrini e Giovanni Rossi per i socialisti; Lorenzo Barozzi e Alfonso Lugli per la Democrazia Cristiana; Augusto Sintini per il Partito d’Azione e Vincenzo Chiossi per i sindacalisti anarchici.
Nei suoi primi documenti sono toccati gli argomenti che saranno le colonne portanti della politica del sindacato unitario: rivendicare l’apporto dei lavoratori alla lotta di liberazione nazionale per porli al centro della nuova Italia del dopoguerra, allo scopo di superare lo storico steccato tra le classi popolari e i gruppi dirigenti nazionali. Il sindacato dovrà essere un’istituzione unitaria rappresentativa del lavoro nella nuova e libera società produttiva, un pilastro della nuova organizzazione statuale, sociale ed economica; l’intero mondo del lavoro diviene un cardine sul quale ricostruire un paese democratico, dove il lavoro manuale non è più l’ultimo gradino della scala sociale.
La struttura riprende il modello sindacale prefascista, basato su organizzazioni territoriali e orizzontali, le Camere del lavoro, e su organi verticali, le categorie, cercando però di mantenere più saldo il controllo degli organi direttivi. La segreteria della Camera confederale del lavoro è l’organo dirigente dell’intero movimento sindacale; ad essa è subordinato il consiglio direttivo (o esecutivo camerale) formato da 20-30 segretari camerali e segretari di categoria; infine, il Consiglio generale dei sindacati e delle leghe che comprende anche i segretari delle camere del lavoro comunali.
In breve tempo la Camera confederale riesce a radicarsi fortemente nel territorio, dando voce alle speranze dei lavoratori nonostante le difficilissime condizioni sociali ed economiche dell’immediato dopoguerra. Nel giugno del 1945 gli iscritti sono già 60.000, ad agosto 85.000 e 120.000 alla fine dell’anno. In ottobre sono costituite le Camere del lavoro comunali a Carpi, Mirandola, Finale Emilia, Nonantola, Sassuolo, Vignola e Pavullo. In estate sono già attive quattro federazioni provinciali e il 22 luglio nasce la Federazione provinciale artigiani, che rimane collegata alla Camera confederale del lavoro fino al giugno 1947.
Voci correlate
Collegamenti
DOCUMENTI
FONTI
BIBLIOGRAFIA
Lorenzo Bertucelli, “Costruire la democrazia”. La Camera del lavoro di Modena (1945-1962), in Lorenzo Bertucelli, Claudia Finetti, Marco Minardi, Amedeo Osti Guerrazzi, Un secolo di sindacato. La Camera del lavoro a Modena nel Novecento, Roma, Ediesse, 2001