Le prime notizie di cui disponiamo sulla presenza a Modena di un’attività legata alla lavorazione del tabacco risalgono al Seicento, appaltata dal Duca il quale ne traeva un notevole compenso annuo. Nel 1788 la “fabbrica del tabacco” passa in via Ganaceto nel soppresso monastero dei Cappuccini, prendendo il nome di “Ferma ducale per l’Appalto dei tabacchi, acquavite e rosoli”. Quando nel 1850 l’appalto passa dal Duca allo Stato, la fabbrica viene spostata nell’area dell’ex Convento di San Marco, in seguito ai lavori per adattare il complesso alle nuove esigenze produttive.
Nel 1902 la sede è sottoposta ad importanti lavori di ampliamento per permettere l’ingresso di nuove maestranze. Ma le numerose assunzioni che la ditta vanta orgogliosa sono in prevalenza di bambine, costrette ad ore e ore di lavoro sottopagato; per questo motivo alla cerimonia di inaugurazione le operaie decidono di non presentarsi in segno di protesta. Questo episodio accade in un momento di già forte tensione all’interno della Manifattura. L’agitazione ha infatti origine l’anno precedente, motivata dal minore salario corrisposto alle lavoratrici modenesi rispetto a quelle delle altre città; a questa lotta, guidata dalla locale Camera del lavoro a cui si affianca Gregorio Agnini, l’amministrazione risponde con una serrata. Solo nel settembre del 1904 con Regio Decreto viene approvato il “Regolamento del personale a mercede giornaliera nelle Manifatture dei tabacchi”, che oltre ad uniformare su base statale retribuzioni ed orari, impone il limite minimo di età per le assunzioni a 15 anni.
Tra il 1918 e il ’21 i proventi dell’azienda aumentano notevolmente, mentre i salari rimasti immutati sono ormai irrisori rispetto all’accresciuto costo della vita nella drammatica situazione post-bellica. Nel corso del 1919 le operaie della Manifattura prendono parte ai primi moti contro il caro viveri; il 31 marzo dell’anno successivo la Federazione dei lavoratori dello Stato proclama lo sciopero generale, che si concluderà il 4 maggio con una sconfitta.
Nel frattempo l’avvento del fascismo vede gran parte delle operaie in posizione risolutamente ostile, facendole diventare un bersaglio privilegiato. La stampa fascista scatena una vera e propria campagna d’odio nei loro confronti, e le squadre fasciste cominciano a presidiare la fabbrica. Operaie e operai sono presi di mira dagli squadristi modenesi, che davanti allo stabilimento ispezionano le loro ceste, requisendo i giornali non allineati con il fascismo, e compiendo sistematiche provocazioni e aggressioni fisiche ai loro danni. All’interno della fabbrica, già a partire dal 1921 le operaie più politicizzate, apertamente comuniste e socialiste, vengono brutalmente cacciate o mandate in pre-pensionamento. La costante sorveglianza e la paura del licenziamento rendono sempre più difficoltosa l’organizzazione di una rete antifascista operante all’interno del luogo di lavoro, che viene quindi coltivata con estrema prudenza e perlopiù fuori la fabbrica; nonostante ciò, le operaie rimangono per tutto il ventennio oggetto dell’attenzione dei fascisti e della polizia, e si rendono protagoniste di atti di disobbedienza come la diffusione di volantini comunisti nel novembre del 1930 e di scritte contro il regime nei bagni della fabbrica nel ‘39.
Gli scioperi del marzo 1943 coinvolgono anche Modena, come il resto della regione, dando un clamoroso segnale di distacco tra il paese e il regime. Dopo la caduta del fascismo nel luglio, sono promosse altre agitazioni nelle fabbriche al fine di allontanare gli ex squadristi e fiduciari; alla Manifattura, allora il più grande stabilimento industriale con oltre 1500 dipendenti, ha inizio il 17 agosto.
Nel secondo dopoguerra a dare rilievo alle problematiche della fabbrica è il giornale delle maestranze, “Tribuna aperta”, che inizia la sua attività a partire dal novembre del 1951. In particolare, costante è l’impegno dei giornalisti operai nel sollecitare la Dirigenza sull’inadeguatezza e insalubrità dell’ambiente di lavoro. Dopo decenni di lotta, alla fine degli anni Settanta i lavoratori riescono ad ottenere l’intervento del Servizio di Medicina del Lavoro.
La fabbrica diventa il simbolo delle lotte per i diritti sul lavoro delle modenesi. Dismessa nel 2002, è dichiarata di interesse culturale nel 2007 e sottoposta a interventi di riqualificazione. La piazzetta adiacente, dove svetta la ciminiera, è stata dedicata proprio alle Paltadòri (dal dialetto modenese, così erano definite le operaie della Manifattura, poiché lavoravano nell’Appalto del tabacco). Dal 2019 la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e Cassa Depositi e Prestiti (CDP), ora proprietaria dell’immobile, ha dato avvio insieme al Comune di Modena ad un nuovo intervento edilizio trasformando l’area in un complesso residenziale.
Collegamenti
DOCUMENTI
FONTI
Tribuna aperta. Giornale delle maestranze della Manifattura tabacchi, 1951-1956
BIBLIOGRAFIA
Fabio Montella, Bagliori d’incendio. Conflitti politici a Modena e provincia tra Guerra di Libia e Marcia su Roma, Milano, Mimesis, 2021
Istituto Storico di Modena, Dizionario storico dell’antifascismo modenese, Vol. 1, Temi a cura di Amedeo Osti Guerrazzi, Giovanni Taurasi, Paolo Trionfini, Milano, Unicopli, 2012
Amedeo Osti Guerrazzi, Claudio Silingardi, Storia del sindacato a Modena 1880-1980, Roma, Ediesse, 2002
Paola Nava, La fabbrica dell’emancipazione. Operaie della Manifattura Tabacchi di Modena: storie di vita e di lavoro, Roma, Coop. Utopia, 1986
U.S.L. di Modena, Indagine sui fattori di nocività presso la Manifattura tabacchi di Modena, Carpi, Coop grafica