Nasce a Carpi il 17 maggio 1893 da Olivo e Luisa Albarani, meccanico, anarchico. In data imprecisata si trasferisce a Modena, nel rione della Madonnina. Nel 1908 si avvicina al movimento libertario insieme al fratello maggiore Umberto, che proprio in quello stesso anno diventa segretario della Lega muratori di Modena. Partecipa al primo conflitto mondiale, ottenendo una medaglia di bronzo al valor militare.
Nel primo dopoguerra è uno dei più attivi esponenti anarchici e fa parte del Comitato esecutivo della Camera del lavoro sindacalista. È tra i promotori del furto delle mitragliatrici avvenuto a Modena nel maggio 1920 in risposta all’eccidio proletario del 7 aprile, promosso dagli anarchici modenesi che intendono utilizzarle «per difendere le manifestazioni operaie». Arrestato con altri 28 dirigenti della Federazione comunista anarchica e della Camera del lavoro sindacalista, è condannato a due anni e sei mesi di carcere.
Rientrato a Modena dopo aver scontata la pena, si impegna attivamente nella riorganizzazione del movimento anarchico e dell’Unione sindacale a Modena. Nel 1924, dopo il delitto Matteotti, promuove la costituzione di un Gruppo giovanile anarchico e nel giugno 1925 partecipa ad un convegno clandestino dell’USI a Genova.
Per questa sua attività, il 24 novembre 1926 è condannato a cinque anni di confino, poi ridotti a due, da scontare a Lipari (Messina). Tenta ogni strada per tornare a casa, comprese ripetute richieste al duce e, a suo favore, interviene – caso abbastanza raro – anche il proprietario della ditta dove lavora come capo-officina, l’azienda Barbieri di Modena.
La ragione di tale insistita richiesta è nella sua pesante condizione familiare: a casa ha lasciato la moglie e la madre senza alcun sostentamento, e da tempo ospita in casa sua anche l’anarchica Valentina Meschiari, separata dal marito e con un figlio poliomielitico.
Rientrato a Modena dal confino è continuamente vigilato, ma apparentemente – forse proprio per la difficile situazione familiare – non svolge più attività politica. Stando ad alcune testimonianze rilasciate nel dopoguerra, all’interno dell’azienda Barbieri non fa mistero delle proprie convinzioni libertarie, discutendo liberamente e favorendo la presa di coscienza antifascista di alcuni giovani operai.
Caduto il fascismo, è incaricato dal Comitato Italia libera – che si è costituito a Modena il 28 luglio 1943 – di riorganizzare il settore sindacale, compito che si rivela impraticabile a causa dell’atteggiamento delle autorità militari locali. Durante la lotta partigiana collabora con il CLN provinciale, assumendo incarichi molto delicati, che sfruttano le sue amicizie con ex sindacalisti rivoluzionari passati da tempo al fascismo, come Nicola Vecchi, per cercare di condizionare le scelte del duce in merito alle nomine dei funzionari a capo dell’Amministrazione provinciale e del Comune di Modena.
Nei primi mesi del 1945 partecipa alle riunioni clandestine che danno vita alla Camera confederale del lavoro unitaria, nella quale rappresenta la corrente sindacalista anarchica. Dopo la Liberazione, con Aladino Benetti fonda la Federazione comunista libertaria di Modena che, tra l’altro, ha sede nello stesso edificio della Camera confederale del lavoro, in via San Vincenzo. Dopo qualche tempo, però, si avvicina al Partito socialista e, successivamente, è nominato direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro. Muore a Modena il 26 maggio 1950.
Collegamenti
DOCUMENTI
FONTI
Archivio centrale dello stato, Casellario politico centrale, b. busta 1309, ‘Chiossi Vincenzo’
Istituto storico Modena, Fondo Anppia, b. 60, fasc. 11
BIBLIOGRAFIA
L. Bertucelli, C. Finetti, M. Minardi, A. Osti Guerrazzi, Un secolo di sindacato. La Camera del lavoro a Modena nel Novecento, introduzione e cura di Luigi Ganapini, Roma, Ediesse, 2001
C. Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena 1940-1940, Milano, Angeli, 1998