Nasce a Soliera l’8 maggio 1881 da Francesco e Aldegonda Camurri; cementista-muratore, anarchico. Nel 1903 emigra in Svizzera per motivi di lavoro, aderendo al movimento libertario e partecipando attivamente alle lotte sindacali. Nel settembre 1908 è condannato per «molestie ai muratori non scioperanti» e si sposta prima in Alsazia e Lorena, da dove è espulso, poi in Lussemburgo e nel Granducato di Baden, per tornare in Svizzera nel luglio 1913, dove è arrestato con l’accusa di svolgere propaganda anarchica. Per solidarietà, oltre cinquecento operai italiani addetti alla costruzione di una linea ferroviaria entrano in sciopero.
Espulso anche dalla Svizzera, rientra in Italia. Arrivato a Modena nella seconda metà del 1914, è nominato segretario del Gruppo anarchico modenese ed entra a far parte della Commissione di controllo della Camera del lavoro sindacalista. Nell’agosto 1915 è chiamato alle armi ma, in considerazione della sua pericolosità, è trasferito in Tripolitania (Libia).
Smobilitato nel marzo 1919, riprende il suo impegno in campo sindacale diventando segretario generale della Camera del lavoro sindacalista, nonché direttore del settimanale camerale “La Bandiera operaia”. È nominato anche segretario del Sindacato nazionale dei lavoratori agricoli dell’Unione sindacale italiana, che ha sede a Modena. Coinvolto nel furto delle mitragliatrici organizzato dagli anarchici modenesi dopo l’eccidio di cinque operai avvenuto in Piazza Grande a Modena il 7 aprile 1920, è condannato a due anni e un mese di reclusione.
Uscito dal carcere nel marzo 1922, poco tempo dopo emigra in Francia, a Parigi. Qui aderisce alle organizzazioni anarchiche e sindacaliste, in particolare è molto attivo nella Fédération du bâtiment (sindacato dei muratori) che grazie a lui sostiene in vario modo molti profughi italiani, e nel Comitato d’emigrazione dell’USI di Parigi. È tra i firmatari dell’appello pubblicato su “Guerra di classe” il 25 marzo 1925 contro lo scioglimento dell’USI deciso dal prefetto di Milano.
Coinvolto nella vicenda ambigua delle Legioni garibaldine, una delle prime vicende di provocazione fascista contro l’antifascismo esiliato, alla fine del 1925 rientra in Italia, prendendo residenza prima a Genova e poi a Torino; in quest’ultima città è arrestato dalla polizia e trasferito a Modena dove, il 24 novembre 1926, è condannato a cinque anni di confino. L’isola di destinazione è Ustica (Palermo). Qui nell’ottobre 1927 è arrestato assieme ad altri trentanove confinati per aver dato vita ad una organizzazione clandestina, e denunciato al Tribunale speciale. Scarcerato nell’agosto 1928, è spostato sull’isola di Ponza (Latina) e, nel luglio 1929, in quella di Lipari (Messina). In quest’ultima località di confino è arrestato con altri sei compagni nel febbraio 1930 per aver criticato l’operato della MVSN.
Nel novembre 1931 è rilasciato per estinzione della pena e torna a Modena. Qui continua ad essere attentamente vigilato ed è incluso nell’elenco delle persone pericolose «da arrestarsi in determinate contingenze», cioè di norma in occasione del passaggio di autorità fasciste. È ammonito e diffidato varie volte. Assunto come stradino comunale, non subisce altre conseguenze anche se, come scrivono le autorità nel 1942, «conserva le sue idee politiche».
Dopo l’occupazione tedesca dell’Italia e la nascita della Repubblica sociale, partecipa con alcuni ex socialisti modenesi all’originale esperienza di “Giustizia sociale”, organo dell’Unione lavoratori dell’industria di Modena, illuso della bontà dei propositi di socializzazione e di ritorno alle origini ‘rivoluzionarie’ del fascismo repubblicano. Il giornale propone un deciso rinnovamento del sindacalismo fascista, attraverso l’elezione dal basso dei dirigenti, il rafforzamento delle Commissioni interne, il riconoscimento del diritto di sciopero: osteggiato dalla Federazione fascista repubblicana, il giornale viene chiuso nel 1944 e alcuni suoi esponenti sono persino arrestati.
Nel dopoguerra è immediatamente isolato dagli anarchici modenesi, che non gli perdonano le ambiguità manifestate nel corso degli anni Trenta e, soprattutto, le scelte politiche che ha compiuto durante la RSI e si ritira definitivamente dalla vita politica. Altre tensioni si manifestano con il figlio Bruno, appena rientrato dalla Germania dove era stato deportato, per cui decide di trasferirsi in un ospizio. Bruno Messerotti diventerà poi un importante dirigente della Camera del lavoro di Modena.
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DOCUMENTI
FONTI
Archivio centrale dello stato, Casellario politico centrale, ad nomen
BIBLIOGRAFIA
Claudio Silingardi, Gli anarchici modenesi tra fuoriuscitismo e rivoluzione in Spagna, in “Rassegna di storia”, n. 6, maggio 1987, pp. 43-77
Claudio Silingardi, «Giustizia sociale» e il sindacalismo fascista a Modena (1943-1945), in Maurizio Degl’Innocenti, Paolo Pombeni, Alessandro Roveri (a cura di), Il PNF in Emilia Romagna. Personale politico, quadri sindacali, cooperazione, Milano, Angeli, 1988