Dal 7 aprile 1920 è promosso a Modena dalle due Camere del lavoro (unitaria e sindacalista) uno sciopero generale di quattro giorni per protestare contro l’ennesimo eccidio proletario, avvenuto due giorni prima a Decima di San Giovanni in Persiceto (Bologna). Qui, nel corso di una manifestazione di braccianti, i carabinieri aprono il fuoco uccidendo sette lavoratori e il segretario propagandista della Camera del lavoro sindacalista di Bologna, il mirandolese Sigismondo Campagnoli. Altre decine di braccianti rimangono feriti, in quello che è il più grave episodio di violenza contro i lavoratori da parte della forza pubblica nella valle Padana.
La mattina del 7 aprile, alle 11, si svolge in largo Garibaldi una prima manifestazione di protesta, conclusa senza incidenti. Un secondo comizio è convocato per le 17.30 davanti alla Camera del lavoro unitaria, in piazzale delle Scalze (oggi piazzale Boschetti) ma poi, vista la grande partecipazione, i dirigenti sindacali ottengono l’autorizzazione a spostare la manifestazione in Piazza Grande.
Davanti allo scalone del municipio si radunano migliaia di lavoratori (2-3.000 per le autorità, 15.000 per il giornale socialista); a fronteggiarli una cinquantina di carabinieri e duecentocinquanta soldati. Mentre si attende l’autorizzazione a usare il balcone del municipio per il comizio la folla visto il ritardo comincia a rumoreggiare e a insultare i carabinieri. Il tentativo del comandante dei carabinieri Giulio Gamucci di sequestrare la bandiera della Lega proletaria dei mutilati con la scritta “Giù le armi”, e la reazione dei manifestanti, inducono i carabinieri presenti ai lati dello scalone ad aprire il fuoco, senza che sia stato dato alcun ordine. I soldati invece rimangono fermi senza sparare.
Due lavoratori, Ferdinando Gatti e Evaristo Rastelli muoiono praticamente subito; altri due, Antonio Amici e Linda Levoni, il giorno dopo; una quinta, Stella Zanetti, ferita alla spina dorsale, muore il 26 settembre 1920 dopo mesi di sofferenze. Una trentina i feriti, alcuni gravi, come Luigi Cavani, al quale viene amputata la gamba destra.
Intanto, lo sciopero intanto prosegue tra le proteste per il nuovo eccidio. In occasione dei funerali, in largo Sant’Agostino, i colpi secchi del tubo di scappamento di un camion provoca il panico tra la folla, che li scambia per colpi di mitragliatrice, e una quarantina di persone rimangono ferite.
Dopo l’eccidio le autorità svolgono due indagini, ma nessun procedimento è avviato e nessun risarcimento è dato ai parenti delle vittime. Un sostegno viene loro solo dalla raccolta fondi organizzata dalle due Camere del lavoro. Nelle settimane successive i funzionari coinvolti nella strage sono trasferiti da Modena, senza subire particolari conseguente nella loro carriera.