Norma Barbolini
Nasce a Sassuolo il 3 marzo 1922 da Lazzaro e Aderita Zuccarini. Vive in Borgo Venezia, quartiere operaio della città. A soli due anni perde il padre; la necessità economica della famiglia la costringe ad interrompere presto gli studi, dopo le elementari, per iniziare a lavorare come operaia ceramista.
Nell’ estate del 1941 inizia l’agitazione delle fabbriche del comprensorio sassolese, espressione di una sempre più esacerbata insofferenza alle dure condizioni imposte dallo stato di guerra. La mattina del 7 ottobre Norma partecipa a uno sciopero della ceramica Marazzi, dove lavora. Oltre a protestare per l’insufficiente quantità di pane e per la mancata distribuzione della pasta e dei grassi prevista dalla politica del razionamento alimentare, le richieste manifestate dal corteo sono relative all’aumento salariale e a una maggiore tutela all’interno del luogo di lavoro. Raggiunto l’ufficio annonario di Sassuolo insieme a un centinaio di altre operaie, viene ricevuta dal Podestà che la invita a parlare alla piazza per esortare le persone radunate a riprendere il lavoro. Norma invece coglie l’occasione per incitare i manifestanti a non tornare alle proprie postazioni fino a quando non fossero state consegnate loro le tessere. A seguito dello sciopero, lei ed altre dieci operaie vengono licenziate.
Durante gli scioperi dell’agosto 1943 è membro della commissione interna della fabbrica Saces. In questo periodo entra in contatto con gli amici antifascisti del fratello Giuseppe, tra cui anche Eugenio Forghieri, e prende parte ad una delle prime azioni resistenziali con il recupero delle armi e munizioni abbandonate dai soldati dopo l’8 settembre. Inizia dunque a collaborare per la formazione di una rete antifascista organizzata, dopodiché partecipa attivamente alla Resistenza partendo assieme a un gruppo di giovani sassolesi per l’Appennino modenese. Dapprima ricopre il ruolo di staffetta partigiana della formazione comandata da Giovanni Rossi e, dopo la morte di questi, dal fratello Giuseppe. Dopo il ferimento del fratello, e fino alla sua guarigione, prende il comando della 1a divisione partigiana “Ciro Menotti”, ruolo che le verrà riconosciuto a guerra finita, oltre che con la nomina a capitano dell’Esercito italiano, con la medaglia d’argento al valor militare.
Dopo la Liberazione torna nuovamente a lavorare in fabbrica, e contestualmente porta avanti l’impegno politico maturato durante la Resistenza con le funzioni di assessora durante l’amministrazione di Eugenio Forghieri. Dirigente del Sindacato nazionale ceramisti, partecipa attivamente alle trattative contrattuali.
Trasferitasi a Modena, entra a far parte dell’Udi e nel Consiglio provinciale dell’ANPI, impegni che porterà avanti per i decenni successivi. Muore a Modena il 14 aprile 1993.
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FONTI
BIBLIOGRAFIA
Norma Barbolini, Donne montanare. Racconti di antifascismo e Resistenza, Modena, Edizioni Cooptip, 1985
Istituto Storico di Modena, Dizionario storico dell’antifascismo modenese, Vol. 2, Biografie a cura di Marika Losi, Fabio Montella, Claudio Silingardi, Milano, Unicopli, 2012, ad nomen
Renato Ognibene
Nasce a Modena il 1° marzo 1928 in una famiglia di orientamento antifascista. A sedici anni diventa partigiano nella zona di Carpi, inquadrato nella Brigata Aristide. Un cugino, Fermo Ognibene, comandante di una formazione partigiana nel parmense caduto in combattimento nel marzo 1944, è medaglia d’oro al valor militare.
Dal 1948 inizia a ricoprire diversi incarichi nella Confederterra e nella Federmezzadri provinciale. Nel 1957 entra nella segreteria camerale e nel 1960 è eletto segretario generale della Camera confederale del lavoro di Modena.
In tale veste nel 1961 Ognibene propone un ambizioso programma di rinnovamento dell’organizzazione sindacale, con lo sdoppiamento delle leghe rionali degli edili e dei metalmeccanici, l’apertura di uffici sindacali disseminati nei pressi delle fabbriche, la creazione di nuovi sindacati provinciali di settore (calzature, ortofrutta, confezioni in serie, conserve vegetali), l’istituzione di uffici sindacali in diversi quartieri della città, in prossimità delle fabbriche. Una proposta che si colloca a pieno nel dibattito sindacale dell’epoca sulla necessità di rafforzare la contrattazione articolata, potenziare le categorie, ridefinire il ruolo delle Camere del lavoro (già nel 1957 era stato deciso di creare cinque Camere del lavoro rionali per portare l’organizzazione sindacale vicino ai luoghi di lavoro della città).
Nel 1962 lascia la segreteria perché eletto deputato per il Pci nel collegio di Parma (rimarrà deputato fino al 1972). Nel 1967 è eletto segretario generale nazionale della Federmezzadri, carica che ricopre fino al 1971. Negli anni successivi partecipa alla Costituente dell’unità contadina, che porta al superamento della Federmezzadri – ormai ridimensionata per la crisi irreversibile della mezzadria – e alla nascita della Confederazione italiana coltivatori, poi Confederazione italiana agricoltori, della quale diviene vicepresidente.
Dal 1978 al 1986 è consigliere del Comitato economico sociale dell’Unione Europea. Conclusa l’esperienza lavorativa, si impegna nell’ANPI di Modena, assumendo il ruolo di vicepresidente negli anni della presidenza di Omar Bisi. Muore a Modena l’11 luglio 2007.
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FONTI
BIBLIOGRAFIA
Lorenzo Bertucelli et al., Un secolo di sindacato. La Camera del lavoro a Modena nel Novecento, Roma, Ediesse, 2001
Eugenio Forghieri
Nasce a Modena il 30 marzo 1894 da Pietro e Filomena Sacchetti. Per aiutare economicamente la famiglia, dopo la quarta elementare abbandona la scuola per l’officina meccanica, dove entra in contatto col movimento operaio, e si iscrive alla Lega metallurgici. Ottiene la licenza elementare frequentando corsi serali.
A diciotto anni emigra a Fiume per lavorare in un silurificio dove resta due anni, e allo scoppio della prima guerra mondiale torna a Modena per arruolarsi. Come tornitore è assegnato al laboratorio reggimentale di Modena e dal 1915 alla fine del conflitto è trasferito al laboratorio pirotecnico di Bologna.
Nel 1917 aderisce alla Federazione giovanile socialista bolognese, partecipando a una manifestazione di piazza contro la guerra. Tornato a Modena al termine del conflitto, si iscrive alla sezione socialista locale e riorganizza la Fiom, entrando nel direttivo. Torna anche al lavoro in officina, diventando l’unico sostentamento della famiglia dopo la morte del padre e in assenza dei fratelli, ancora sotto le armi.
Nel 1919 si dedica completamente alla segreteria dei Metallurgici, dirigendo lo sciopero del 1919 e l’occupazione delle fabbriche del 1920. Nello stesso anno è eletto consigliere comunale ed assessore supplente ai lavori pubblici a Modena. Nel 1926, qualche anno dopo essersi trasferito a Sassuolo, dove con un compagno apre una piccola officina meccanica per la riparazione di macchine agricole e industriali, lo raggiunge una diffida politica e successive minacce da parte del Fascio locale per la sua attività di propaganda.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 aderisce al Partito comunista, diffondendo stampa clandestina e tenendo i contatti coi partigiani in montagna. Nel settembre 1944 si unisce alla divisione Barbolini; dopo circa un mese, in seguito a un attacco di febbre alta, torna in pianura e a gennaio 1945 ricostituisce il Comitato di Liberazione di cui diventa presidente. Il comitato lo designa sindaco di Sassuolo, carica che ricopre fino al 1951, quando il ministero degli Interni lo destituisce dal suo incarico per aver preso parte ad una protesta di dipendenti di una fabbrica sassolese. Provvedimenti simili colpiscono in questo periodo diversi sindaci comunisti e amministratori locali modenesi e sono da ricondurre alla conflittualità tra Stato e comuni rossi nel clima di guerra fredda in corso. Prosegue l’attività politica tra 1951 e 1960 come consigliere e assessore provinciale e presidente dell’ECA (Ente comunale di assistenza), continuando a svolgere incarichi di responsabilità nel Partito comunista. Nel 1953 è anche direttore della Cooperativa di consumo sassolese. Muore il 14 ottobre 1975.
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DOCUMENTI
FONTI
“È morto il compagno Eugenio Forghieri”, l’Unità, 15 ottobre 1975
BIBLIOGRAFIA
Francesco Genitoni, Soldati per conto nostro. La Resistenza a Sassuolo e nella valle del Secchia, Milano, Vangelista, 1989, p. 263
Giovanni Taurasi, La Provincia di Modena tra unità antifascista, Costituzione contesa e conflitto politico, in Paola Manzini (a cura di) Costruzione della Repubblica e ricostruzione: valori condivisi e contrasti politici nelle carte dell’autorizzazione a procedere contro il Costituente Cremaschi, Roma, Colombo, 2006, pp. 69-70
Luciana Sgarbi
Nasce il 10 marzo del 1930 a Soliera, da una famiglia di origine contadina. Il padre, operaio alla FIAT, viene licenziato per rappresaglia politico-sindacale all’inizio degli anni Cinquanta, evento che crea difficoltà finanziarie alla famiglia.
Terminata la scuola dell’obbligo, si diploma in dattilografia presso l’Istituto professionale “F. Corni” di Modena. Assunta come impiegata alla Camera del Lavoro di Soliera ancora minorenne, diviene in breve attivista sindacale e poi funzionaria. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, si impegna in particolare nell’organizzazione delle mondine e prende parte alle dure lotte agrarie, durante le quali viene arrestata e condannata a tre mesi e mezzo di carcere.
A 16 anni si iscrive al Partito comunista e, dopo alcuni anni di attività sindacale, nel 1952 si trasferisce a Roma per lavorare alla Fgci di Enrico Berlinguer, divenendo vice-responsabile delle Commissione ragazze sotto la direzione di Marisa Murro. In quel periodo si sposa e ha il suo primo figlio.
Nel 1956 rientra nel modenese, dove continua per qualche tempo a occuparsi della Fgci. Contestualmente, dal 1956 al 1960 lavora come funzionaria sindacale presso la Federbraccianti di Soliera.
All’inizio degli anni Sessanta è responsabile dell’Udi modenese. Vi rimane fino al 1968, anno in cui entra in Parlamento nelle fila del Pci. In Parlamento, è vice-presidente della Commissione lavoro, occupandosi in particolare della riforma della legge sul lavoro a domicilio (1973), della riforma della legge sulle lavoratrici madri (1971) e della riforma del diritto di famiglia (1975).
Nel 1976, si conclude la sua esperienza come parlamentare e rientra a Modena.
Dopo la nascita del secondo figlio, abbandona definitivamente gli incarichi politico-sindacali.
Muore a Modena il 18 marzo 2016.
Sara Martinelli
Nasce a Carpi nel 1930 da una famiglia di origine mezzadrile e tradizione socialista. Dopo aver conseguito la licenza elementare, frequenta l’avviamento professionale per computisti senza concludere gli studi a causa dello scoppio del secondo conflitto mondiale.
Inizia a lavorare ancora bambina nelle campagne modenesi, esperienza che la spinge prima a interessarsi delle condizioni delle donne mezzadre e, nell’immediato dopoguerra, a dedicarsi a tempo pieno all’attività politico-sindacale. L’esempio delle donne resistenti e in particolare la conoscenza di Aude Pacchioni, la spingono, ancora giovanissima, ad entrare nelle fila della Cgil.
Nel 1947, diventa funzionaria della Confederterra di Modena, passando successivamente alla Federmezzadri provinciale, dove rimase fino al 1952. In quegli anni, si occupa in particolare delle condizioni delle mezzadre e delle mondine.
Dal 1952 al 1956 entra a far parte della Segreteria della Camera del Lavoro di Modena e diventa responsabile della Commissione femminile provinciale. Tra i molti temi su cui si impegna nei primi anni Cinquanta spiccano la legge sulla maternità e la parità salariale. Nel 1954 si sposa, matrimonio dal quale ha tre figli.
Nel 1956, conclude la sua esperienza sindacale per dedicarsi all’attività di partito, divenendo funzionaria del Pci nazionale. Nel 1958, la sua esperienza politico-sindacale termina, plausibilmente per la difficoltà di conciliare la vita politica e la vita familiare.
Rientrata a Modena, nel 1964 entra a far parte dapprima della Commissione femminile della locale Federcoop, passando successivamente alla presidenza dell’Associazione provinciale cooperative di consumo.
Conclude la sua attività lavorativa alla fine degli anni Settanta nell’Alleanza cooperativa modenese. Muore nel 2003.
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Roberta Bursi
Roberta Bursi nasce nel 1947. Dopo aver conseguito il diploma di perito tecnico-industriale, inizia a lavorare come chimica e si iscrive alla Federazione Lavoratori tessili e abbigliamento (Filtea).
Nel 1970, a seguito di un infortunio sul lavoro inizia la collaborazione con la Camera del Lavoro comunale di Sassuolo, della quale dopo poco diviene segretaria. Data la difficoltà di conciliare il nuovo lavoro di sindacalista con la gestione della famiglia, decide di interrompere gli studi universitari.
Nel 1972, passa al Sindacato scuola, divenendone segretaria: è la prima sindacalista con quella responsabilità a non provenire direttamente dalle fila dell’insegnamento. Gli anni Settanta sono fondativi per la categoria. Roberta si impegna per una riorganizzazione e sviluppo del Sindacato scuola sul territorio modenese e la realizzazione dei corsi delle 150 ore in collaborazione con la Federazione lavoratori metalmeccanici (Flm).
Alla fine degli anni Settanta, dopo la costituzione delle zone sindacali, è eletta segretaria del distretto di Sassuolo, ruolo che mantiene per alcuni anni.
Dopo aver contribuito alla fondazione dell’Intercategoriale donne nel Modenese durante la sua attività al Sindacato scuola, nel 1981 Roberta diventa responsabile del Coordinamento donne della Cgil regionale, incarico che mantiene fino alla fine degli anni Novanta.
Negli anni Ottanta, entra a far parte della Segreteria regionale della Filtea e in seguito della Segreteria della Cgil Emilia-Romagna.
Successivamente, ricopre un incarico di livello europeo, entrando a far parte del Comitato esecutivo della Confederazione europea dei sindacati.
Fa parte della Segreteria dello Spi Emilia-Romagna fino al 2007, e in seguito diviene segretaria di Lega per lo Spi modenese. Muore il 4 settembre 2020.
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Silvana Bonacini
Nasce a Soliera in provincia di Modena nel 1931, da una famiglia di umili origini e di idee antifasciste: il padre era bracciante mentre la madre lavorava in casa come sarta. Consegue la licenza elementare e inizia la scuola di avviamento professionale, senza tuttavia riuscire a completarla. A soli 11 anni è infatti costretta a impiegarsi come bracciante per far fronte alle difficili condizioni economiche della famiglia, aggravate dall’assenza del padre fatto prigioniero di guerra.
All’indomani del secondo conflitto mondiale, mentre continua la sua attività di bracciante si avvicina al Partito comunista italiano, iscrivendosi alla Fgci dopo la sua fondazione. Contestualmente, inizia anche la sua militanza sindacale, collaborando all’organizzazione delle lotte bracciantili della seconda metà degli anni Quaranta. Negli anni Cinquanta e Sessanta, la sua attività sindacale si intreccia e si sovrappone a quella politica, nell’associazionismo femminile e come amministratrice.
Nel 1951, a soli vent’anni, diventa funzionaria del Pci e nel 1958 ricopre la carica di Segretaria del partito nel suo comune d’origine, Soliera. Per quasi vent’anni, dal 1953 al 1972, Silvana siede tra le fila del Pci nel Consiglio comunale di Soliera, ricoprendo anche la carica di Assessora all’assistenza, istruzione e cultura.
Nel corso degli anni Cinquanta è inoltre attiva nell’Udi solierese, e responsabile dal 1951 al 1961. In quell’anno è eletta Segretaria generale della Camera del Lavoro di Soliera, la prima donna a ricoprire quel ruolo. Sempre nel 1961 si sposa e nel 1965 ha un figlio.
Mantiene l’incarico di Segretaria per tutti gli anni Sessanta e nel 1966 entra a far parte della Cgil provinciale di Modena. Nei primi anni Settanta è responsabile della Federazione enti locali e sanità della Cgil, occupandosi in particolare di quest’ultimo ambito.
Dal 1981 al 1984 dirige il Centro di addestramento professionale dell’Ecap-Cgil di Modena. Dal 1984 al 1986 è poi responsabile del Sindacato pensionati di Modena. Prima di ritirarsi a vita privata, a metà anni Novanta, ricopre anche l’incarico di presidente del Comitato provinciale Inps.
Si spegne a Soliera nel 2012.
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Marta Andreoli
Nasce a Bastiglia il 4 gennaio del 1931 in una famiglia antifascista. Il padre e la madre sono braccianti agricoli di fede socialista, e così anche i quattro figli.
Consegue la licenza elementare ma non ha l’opportunità di continuare gli studi come avrebbe voluto. Si avvia presto al lavoro, dapprima in risaia, poi come bracciante e di seguito parrucchiera.
Giovanissima, è testimone dei fatti accaduti alle Fonderie riunite di Modena il 9 febbraio del 1950 quando, nel corso dello sciopero proclamato dalla Cgil per il licenziamento di oltre 500 operai metalmeccanici, i carabinieri che avevano circondato la fabbrica, sparano sui manifestanti. Rimangono uccisi 6 dimostranti, altri 200 i feriti e 34 vengono arrestati. La sorella di Marta è all’epoca nella Commissione interna, e di lì a poco subisce il licenziamento per rappresaglia politico-sindacale.
Aderisce al Partito socialista italiano sin da giovane; nel 1951 è inviata dal partito a Roma per frequentare il Corso di formazione organizzato presso la Scuola nazionale dell’Udi.
La familiarità con il mondo cattolico ereditata dalla madre l’avvicina in un primo momento al Cif di Modena; simpatia che si interrompe a causa delle posizioni reazionarie espresse dall’associazione, in netta contrapposizione con la visione socialista e comunista, in occasione di alcune celebrazioni religiose e a seguito della distribuzione nei luoghi sacri di “libricini razzisti”, segno dell’adozione di una prospettiva colonialista.
Dal 1952 al 1955 è funzionaria della Cgil. Incaricata di seguire il settore del commercio, entra nella Federazione dei lavoratori del commercio e nel Comitato direttivo.
Gli anni Sessanta registrano una rottura interna al Partito socialista italiano, determinando la nascita del Partito socialista italiano di unità proletaria (Psiup) cui Marta aderisce diventando Responsabile della Commissione operaia a Modena. Sviluppa le relazioni tra operai e studenti e coltiva una relazione stringente con il Psiup di Torino, condividendone la prospettiva dell’affermazione dei Consigli di Fabbrica in Fiat.
Attiva la sua partecipazione ai movimenti del ’68-’69 e, nello stesso periodo, è anche membro del Direttivo e della Segreteria dell’Udi di Modena.
Lasciata la Cgil a seguito dell’Accordo sulla scala mobile del 1975 siglato tra le Confederazioni Cgil Cisl Uil, si dedica maggiormente all’attività politica. Membro del Consiglio comunale in rappresentanza del Partito della Rifondazione comunista, arriva a ricoprire la carica di Vicepresidente dell’Amministrazione provinciale di Modena.
Dedica grande dedizione alla causa palestinese che, unitamente all’attività nel movimento delle donne e al protagonismo nella politica locale, la occupa fino alla fine il 1° marzo del 2019.
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Teobaldo Righetti
Nasce nel 1884, muratore, sindacalista anarchico.
Su di lui non ci sono molte notizie se non quelle riportate dalla stampa.
Rimane vittima della violenza squadrista il 6 novembre 1921 a Modena, quando i fascisti bloccano via Ruini (già via Sant’Agata) da entrambi i lati con il pretesto che nella Camera del lavoro sindacalista è in corso una riunione per riorganizzare le file degli anarchici. In realtà si svolge un convegno provinciale delle leghe sindacaliste e come ogni domenica mattina si riuniscono i lavoratori per decidere i turni per la settimana successiva.
Nonostante la nutrita presenza di carabinieri accorsi sul posto, nei gravi incidenti che seguono rimane ferito anche R. che, scivolato su di un marciapiede bagnato della via Emilia, viene raggiunto e colpito violentemente con pugni e bastonate. Testimone dell’aggressione è anche l’anarchico Albano Franchini: «Righetti era appena uscito dalla nostra sede quando i fascisti di Ciuldein (Chiodino) Vellani lo circondarono e lo bastonarono, passandoselo a vicenda come una palla». Medicato alla Croce Verde per una ferita lacero contusa al capo, viene giudicato guaribile in otto giorni e rimandato a casa.
Dopo una decina di giorni, a causa di complicazioni per le ferite subite, viene di nuovo ricoverato all’ospedale. Le cose purtroppo peggiorano e Righetti muore il 24 novembre 1921. Lascia la moglie e tre figli. Assistono al funerale civile le rappresentanze delle due Camere del lavoro cittadine ed oltre cinquecento lavoratori. Viene inoltre deciso di promuovere una colletta per aiutare la sua famiglia.
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FONTI
BIBLIOGRAFIA
M. Losi, F. Montella, C. Silingardi (a cura di), Dizionario storico dell’antifascismo modenese vol.2 Biografie, Milano, Edizioni Unicopli, 2012 [scheda di Andrea Pirondini]
Eliseo Ferrari
Nasce a Modena nel 1925, a poca distanza dalla Crocetta. All’età di nove anni inizia a lavorare per necessità, ma continua a coltivare la sua formazione studiando da autodidatta. Trova impiego dapprima in campagna, poi come garzone da un lattaio, ed in seguito fa lo spazzino e il mondariso. L’ingresso nel mondo del lavoro favorisce la sua maturazione politica che lo porta, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, ad unirsi alle prime formazioni partigiane.
Dopo la guerra inizia il suo lavoro in fonderia, e grazie alla sua esperienza e alle sue capacità nel 1948 entra nella segreteria della Fiom cittadina; in questo ruolo segue la situazione delle Fonderie Valdevit e delle Fonderie Riunite, le due realtà operaie più importanti della provincia.
È testimone diretto dell’eccidio del 9 gennaio 1950. Quella mattina presiede l’assemblea degli operai delle Fonderie Orsi prima dell’inizio della manifestazione. La sua testimonianza rimane ancora oggi una delle più lucide di cui disponiamo. Nel 2005 partecipa e vince il “Premio Liberetà” con il libro “A sangue freddo” che ricostruisce l’episodio in modo esemplare.
Dopo l’eccidio lascia la segreteria cittadina Fiom per riprenderla, come segretario provinciale, dal 1955 al 1973, quando entra in segreteria regionale fino al 1979, per poi passare negli anni ottanta alla guida dello Spi regionale.
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DOCUMENTI
FONTI
“Scomparso il sindacalista Eliseo Ferrari”, Gazzetta di Modena, 19 agosto 2014
BIBLIOGRAFIA
Eliseo Ferrari, A sangue freddo, Roma, Liberetà, 2004
Vittorio Messerotti
Nasce a Soliera l’8 maggio 1881 da Francesco e Aldegonda Camurri; cementista-muratore, anarchico. Nel 1903 emigra in Svizzera per motivi di lavoro, aderendo al movimento libertario e partecipando attivamente alle lotte sindacali. Nel settembre 1908 è condannato per «molestie ai muratori non scioperanti» e si sposta prima in Alsazia e Lorena, da dove è espulso, poi in Lussemburgo e nel Granducato di Baden, per tornare in Svizzera nel luglio 1913, dove è arrestato con l’accusa di svolgere propaganda anarchica. Per solidarietà, oltre cinquecento operai italiani addetti alla costruzione di una linea ferroviaria entrano in sciopero.
Espulso anche dalla Svizzera, rientra in Italia. Arrivato a Modena nella seconda metà del 1914, è nominato segretario del Gruppo anarchico modenese ed entra a far parte della Commissione di controllo della Camera del lavoro sindacalista. Nell’agosto 1915 è chiamato alle armi ma, in considerazione della sua pericolosità, è trasferito in Tripolitania (Libia).
Smobilitato nel marzo 1919, riprende il suo impegno in campo sindacale diventando segretario generale della Camera del lavoro sindacalista, nonché direttore del settimanale camerale “La Bandiera operaia”. È nominato anche segretario del Sindacato nazionale dei lavoratori agricoli dell’Unione sindacale italiana, che ha sede a Modena. Coinvolto nel furto delle mitragliatrici organizzato dagli anarchici modenesi dopo l’eccidio di cinque operai avvenuto in Piazza Grande a Modena il 7 aprile 1920, è condannato a due anni e un mese di reclusione.
Uscito dal carcere nel marzo 1922, poco tempo dopo emigra in Francia, a Parigi. Qui aderisce alle organizzazioni anarchiche e sindacaliste, in particolare è molto attivo nella Fédération du bâtiment (sindacato dei muratori) che grazie a lui sostiene in vario modo molti profughi italiani, e nel Comitato d’emigrazione dell’USI di Parigi. È tra i firmatari dell’appello pubblicato su “Guerra di classe” il 25 marzo 1925 contro lo scioglimento dell’USI deciso dal prefetto di Milano.
Coinvolto nella vicenda ambigua delle Legioni garibaldine, una delle prime vicende di provocazione fascista contro l’antifascismo esiliato, alla fine del 1925 rientra in Italia, prendendo residenza prima a Genova e poi a Torino; in quest’ultima città è arrestato dalla polizia e trasferito a Modena dove, il 24 novembre 1926, è condannato a cinque anni di confino. L’isola di destinazione è Ustica (Palermo). Qui nell’ottobre 1927 è arrestato assieme ad altri trentanove confinati per aver dato vita ad una organizzazione clandestina, e denunciato al Tribunale speciale. Scarcerato nell’agosto 1928, è spostato sull’isola di Ponza (Latina) e, nel luglio 1929, in quella di Lipari (Messina). In quest’ultima località di confino è arrestato con altri sei compagni nel febbraio 1930 per aver criticato l’operato della MVSN.
Nel novembre 1931 è rilasciato per estinzione della pena e torna a Modena. Qui continua ad essere attentamente vigilato ed è incluso nell’elenco delle persone pericolose «da arrestarsi in determinate contingenze», cioè di norma in occasione del passaggio di autorità fasciste. È ammonito e diffidato varie volte. Assunto come stradino comunale, non subisce altre conseguenze anche se, come scrivono le autorità nel 1942, «conserva le sue idee politiche».
Dopo l’occupazione tedesca dell’Italia e la nascita della Repubblica sociale, partecipa con alcuni ex socialisti modenesi all’originale esperienza di “Giustizia sociale”, organo dell’Unione lavoratori dell’industria di Modena, illuso della bontà dei propositi di socializzazione e di ritorno alle origini ‘rivoluzionarie’ del fascismo repubblicano. Il giornale propone un deciso rinnovamento del sindacalismo fascista, attraverso l’elezione dal basso dei dirigenti, il rafforzamento delle Commissioni interne, il riconoscimento del diritto di sciopero: osteggiato dalla Federazione fascista repubblicana, il giornale viene chiuso nel 1944 e alcuni suoi esponenti sono persino arrestati.
Nel dopoguerra è immediatamente isolato dagli anarchici modenesi, che non gli perdonano le ambiguità manifestate nel corso degli anni Trenta e, soprattutto, le scelte politiche che ha compiuto durante la RSI e si ritira definitivamente dalla vita politica. Altre tensioni si manifestano con il figlio Bruno, appena rientrato dalla Germania dove era stato deportato, per cui decide di trasferirsi in un ospizio. Bruno Messerotti diventerà poi un importante dirigente della Camera del lavoro di Modena.
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FONTI
Archivio centrale dello stato, Casellario politico centrale, ad nomen
BIBLIOGRAFIA
Claudio Silingardi, Gli anarchici modenesi tra fuoriuscitismo e rivoluzione in Spagna, in “Rassegna di storia”, n. 6, maggio 1987, pp. 43-77
Claudio Silingardi, «Giustizia sociale» e il sindacalismo fascista a Modena (1943-1945), in Maurizio Degl’Innocenti, Paolo Pombeni, Alessandro Roveri (a cura di), Il PNF in Emilia Romagna. Personale politico, quadri sindacali, cooperazione, Milano, Angeli, 1988
Enea Romagnoli
Nasce a Castelfranco Emilia il 18 giugno 1928. Dopo aver frequentato la scuola di avviamento professionale, inizia presto a lavorare in fabbrica a Bologna. Ritornato a Castelfranco nel 1943 causa i bombardamenti sulla città, entra nel mondo del lavoro come manovale edile. Nell’immediato dopoguerra aderisce al Partito comunista, nei primi anni Cinquanta inizia a collaborare con la Camera del lavoro, seguendo la lega dei terrazzieri di Castelfranco e poi come capo-lega a Piumazzo. Si sposa con Maria Francesca ed hanno due figli, Roberto e Maura.
Dopo alcune esperienze di impegno sindacale tra Castelfranco Emilia e Modena, seguendo alcune categorie, inizia a lavorare alla Federbraccianti, dove svolge quasi tutta la sua carriera sindacale, entrando in segreteria come responsabile della contrattazione. In questo ruolo dimostra grandi capacità contrattuali e una profonda competenza della materia negoziale, mantenendo sempre come riferimento il rapporto con i lavoratori e la condivisione degli obiettivi da raggiungere. Continuerà questa attività fino alla pensione, nel 1985, proseguendo poi per altri due anni come volontario attivista del sindacato pensionati Cgil.
Ha sempre avuto il pallino per la scrittura, nel tenere appunti e resoconti. Questa passione lo porta sin da giovane alla collaborazione con i giornali di fabbrica, la cosiddetta “stampa operaia” degli anni 1950: scrive per il mensile “La Voce dell’azienda agricola” della Bettini di Castelfranco Emilia negli anni 1952 e 1953, scrive per la rivista “Il Riscatto, periodico delle lavoranti a domicilio”, e per la “Voce dei lavoratori” nel 1955 e 1956.
Inizia a raccogliere e a conservare copia di tutti i contratti di lavoro degli operai agricoli, sia quelli provinciali che regionali e nazionali, raccoglie e conserva anche tutti i suoi appunti presi durante le riunioni e le discussioni fatte in sede di contrattazione con le aziende e con le controparti con cui, di volta in volta, si trova al tavolo delle trattative. Raccoglie le tabelle salariali e gli articoli di giornale riguardanti i contratti dei lavoratori agricoli. Appunti, tabelle e articoli vengono tutti ben rilegati creando libri facilmente consultabili.
Libri che ora, dopo la sua morte, avvenuta il 19 giugno 2019, i familiari hanno scelto di mettere a disposizione dell’Archivio Storico della Cgil di Modena, conservato presso l’Istituto storico di Modena, per permettere a chiunque lo voglia, di accedere a dati e notizie di questo passato.
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FONTI
Istituto storico di Modena, Archivio CGIL Modena, Fondo Enea Romagnoli
BIBLIOGRAFIA
Amedeo Osti Guerrazzi, Claudio Silingardi, Storia del sindacato a Modena 1880-1980, Roma, Ediesse, 2002